Usa e Iran, I grandi nemici
Trump ha ordinato l’eliminazione del super generale iraniano Qasem Soleimani. Gli scenari secondo un analista d’eccezione, Michael O’Hanlon di Brookings Institution . Servizio andato in onda nel TV7 – Rai 1 – del 17/1/2020
TESTO
Michael O’Hanlon, Brookings Institution
Nessuno dei due Paesi vuole una guerra su larga scala. Ma una guerra può scoppiare per un errore di calcolo o per incertezza sulle reali intenzioni dell’avversario.
Qasem Soleimani era l’artefice della mezzaluna scita, l’espansione militare dell’Iran in Iraq, Siria e Libano. Un nemico giurato degli Stati Uniti da oltre due decenni. Eppure nessun presidente, prima di Donald Trump, ne aveva ordinato l’eliminazione.
Donald Trump
Abbiamo colpito un mostro totale. Avremmo dovuto farlo molto tempo fa.
Trump respinge le critiche di chi sostiene che abbia agito d’impulso. Ma molti si chiedono se il Presidente abbia valutato tutte le implicazioni dell’uccisione di un generale tanto potente e così vicino alla guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Khamenei.
Michael O’Hanlon, Brookings Institution
Non dico che sia stata una decisione sbagliata. Ma avrebbe dovuto essere accompagnata da due azioni politiche che per ora non vedo: un serio sforzo per riparare le relazioni con l’Iraq e un piano realistico per riaprire il negoziato sul nucleare.
All’indomani dell’uccisione di Soleimani, il Parlamento iracheno chiede il ritiro delle truppe americane. Trump reagisce da uomo d’affari.
Donald Trump
Ad un certo punto ce ne andremo, ma questo non è il momento giusto. E poi c’è un’altra cosa. Abbiamo speso un’enorme quantità di denaro. Se ce ne andassimo, vorremmo essere rimborsati.
Michael O’Hanlon, Brookings Institution
Sarebbe una ironia tragica se come conseguenza dell’uccisione di Soleimani le truppe americane dovessero ritirarsi, lasciando l’Iraq vulnerabile all’ISIS e all’influenza iraniana.
Le lacrime vere dell’ayatollah Khamenei e quelle dei milioni che partecipano ai funerali del super generale indicano volontà di vendetta.
La risposta arriva l’otto gennaio. Missili colpiscono le basi americane in Iraq. L’attacco è calibrato e produce estesi danni ma nessuna vittima. La leadership iraniana non vuole innescare una escalation. Trump ha promesso di rispondere ad eventuali attacchi in modo ancora più duro.
Lo stesso giorno, l’errore fatale che mette Teheran sulla difensiva. La contraerea iraniana, in stato di massima allerta nel timore di una rappresaglia, lancia due missili contro un Boeing ucraino con 176 persone a bordo. Passeranno tre giorni prima che il regime ammetta la verità.
I giovani tornano in piazza contro le bugie di stato. A novembre manifestazioni anti regime erano state soffocate nel sangue.
Trump lancia un monito: Non uccidete i vostri manifestanti.
Nell’arco di pochi giorni, Teheran conosce due piazze di segno opposto – quella che osanna Soleimani e quella che sfida il regime.
Michael O’Hanlon, Brookings Institution
Il regime è sotto pressione, per le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti dopo il ritiro dal trattato sul nucleare. Nel 2019 il PIL è crollato del 7 %. Ma non credo che la Repubblica islamica possa essere rovesciata dalla piazza. Anche se una parte delle giovani generazioni non ha più fiducia nella leadership, la partecipazione ai funerali di Soleimani dimostra che il regime è ancora in grado di far leva sulla forza emotiva che riunisce il popolo quando si sente minacciato dall’esterno.
Il grande interrogativo ora è come il regime degli ayatollah difenderà la sua ambizione di egemonia nella regione, che aveva nel generale dei pasdaran l’abile regista. Il timore è che Teheran corra verso l’atomica. Stiamo arricchendo più uranio di prima dell’accordo, dice il presidente Rouhani .
Michael O’Hanlon, Brookings Institution
Non credo che nei prossimi mesi l’Iran tenterà di acquisire l’arma nucleare. Farà piccoli passi in questa direzione, per mantenere alta la pressione. Ma eviterà uno scontro frontale che darebbe il pretesto agli Stati Uniti di bombardare le istallazioni nucleari col rischio per il regime di far aumentare le chance di Trump di essere rieletto.
Altamente improbabile anche un ritorno al negoziato. Trump ha lasciato la porta aperta. Ma dal vertice del regime è venuto un secco no.
Michael O’Hanlon, Brookings Institution
E’ noto che le richieste avanzate dall’amministrazione Trump per porre fine alle sanzioni sono molto pesanti. Se Trump vuole un accordo, deve darsi obiettivi più realistici.
Lo scenario più probabile è quello del muro contro muro. Con un susseguirsi di fiammate e di sforzi per spegnerle. Col rischio, sempre dietro l’angolo, di un tragico errore di calcolo.
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