Le Vie della Seta: dove va la Cina – Speciale Tg1
A cavallo tra l’antica Via della Seta e quelle nuove progettate dalla Cina di Xi Jinping
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Speciale Tg1 “Le vie della Seta, di Claudio Pagliara, del 20 gennaio 2019. Link al sito Rai Play e Tg1
L’esercito di Terracotta … un’opera che va al di là dell’immaginazione.
Una invincibile armata schierata a eterna difesa del mausoleo dell’uomo che nel terzo secolo avanti Cristo unificò sette regni e si proclamò Primo imperatore.
Il viaggio che in un ping-pong tra passato e presente ci porterà alternativamente nei più affascinanti luoghi dell’antica Via della seta – Xi’an, Dunhuang, Kashgar – e nelle più dinamiche metropoli delle Nuove vie della seta – Chongqing, Shenzhen, Shanghai – non può che partire da qui, dove oltre due millenni fa è nata la Cina.
La Via della Seta: Xi’an
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Lan Desheng, ricercatore dipartimento Restauro del Museo del Primo Imperatore, Xi’an
Guardi questo cavallo, ha gli occhi leggermente sporgenti, concentrati sul nemico, il volto è impavido, sembra stia per irrompere nel campo di battaglia.
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L’esercito di terracotta, vicino a Xi’an, ci trasporta in un passato di gloriose conquiste e smisurate ambizioni.
Ottomila guerrieri – ufficiali, fanti, cavalieri -, 670 cavalli, 130 carri. E ogni volto è diverso dall’altro, ogni unità ha una sua caratteristica. Le statue sembrano dotate di vita propria, fendendo queste schiere si ha l’impressione che una sanguinosa battaglia possa scoppiare in ogni momento.
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Il Primo imperatore estese il dominio dei Qin “sin dove di vedono tracce umane”, recita un’iscrizione dell’epoca. Fece costruire l’esercito di terracotta per regnare anche nell’aldilà. Si calcola che settecentomila sudditi lungo l’arco di quaranta anni lavorarono a quest’opera che per grandiosità non aveva precedenti e non avrà imitazioni.
Le statue non erano affatto cromaticamente monotone come oggi appaiono ai visitatori. In origine erano dipinte con colori brillanti: rosso, verde, giallo, porpora.
Xia Yin, direttore dipartimento Restauro del Museo del Primo Imperatore, Xi’an
Quando erano sepolte, le statue erano in un ambiente molto umido.
In superficie, sono esposte a un clima asciutto. Senza trattamenti, la lacca su cui è apposta la vernice si secca in pochi istanti e si stacca.
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Il sepolcro del Primo imperatore fu scoperto per caso nel 1974 da contadini intenti a scavare un pozzo. I primi esploratori assistettero sgomenti alla disgregazione della pittura. Oggi esistono tecniche per ovviare a questo problema. Le statue riportate alla luce in seguito conservano parte dei colori originari.
I restauratori devono anche risolvere il puzzle più complicato del mondo: ricomporre le statue, trovando tra una miriade di pezzi quelli mancanti. I cavalli sono tenuti sollevati con argani. I guerrieri sono distesi su barelle, come feriti. I pezzi sono allineati sui tavoli, dai più grandi ai più piccoli: questi sono bottoni delle divise. In media, ogni anno vengono ricostruite una decina di statue. Delle ottomila estratte, finora solo mille sono complete .
Lan Desheng, ricercatore dipartimento Restauro del Museo del Primo Imperatore, Xi’an
Questo è un generale di rango, un vice comandante. Per questo la statua è così ben fatta. Manca il braccio sinistro e anche quest’altra parte.
Alcuni pezzi, come questi, sono minuscoli. Questo è un bottone. E poi ci sono tanti frammenti, tipo questo, di collegamento.
Secondo alcuni recenti studi, l’Esercito di terracotta risente dell’influsso ellenistico, una conferma di precoci incontri ravvicinati tra Oriente e Occidente.
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Zhang Yuanlin, direttore Centro di Ricerca Via della Seta, Accademia di Dunhuang
Già dal Quinto o Quarto secolo prima di Cristo, la Cina era in contatto con Roma, la Grecia, la Persia, Babilonia. Gli archeologi lo hanno dimostrato. Ma gli scambi erano di piccola entità. Il vero atto di nascita della Via della seta è costituito dalla missione in Occidente compiuta nel 138 avanti Cristo dal generale Zhang Qian.
Il periglioso viaggio del generale Zhang Qian durò tredici anni. Per due volte fu catturato dalle tribù nomadi del Nord. Il resoconto di ciò che aveva visto convinse i Han – la dinastia al potere – delle potenzialità economiche della rotta commerciale verso Occidente.
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Per secoli, i mercanti percorsero le piste della Via della seta, che attraversavano alcuni dei più inospitali territori del Pianeta, spinti dal profitto e dal fascino dell’esotico. Fino a quando, nel XV secolo, la via della seta marittima soppiantò quelle terrestre.
Zhang Yuanlin, direttore Centro di Ricerca Via della Seta, Accademia di Dunhuang
Si può descrivere la via della Seta come un ponte tra Oriente e Occidente, una via di comunicazione di primaria importanza lungo la quale è transitato di tutto: merci e persone, ma anche arte, cultura, religioni.
Il punto di partenza della Via della seta era Chang’an, l’ antica capitale della Cina, l’attuale Xi’an. Nell’Ottavo secolo, al suo apogeo, era la città più grande del mondo, “la città di un milione di abitanti”, è definita nei documenti ufficiali. A proteggerla, imponenti mura lunghe ben 30 chilometri. Quelle giunte a noi sono di epoca successiva.
Buona parte della popolazione era costituita da stranieri: mercanti turchi, monaci buddisti dall’India, sacerdoti persiani, cavalieri mongoli e cammellieri sogdiani, principi tibetani. Nel bazar si contrattavano merci in qualunque lingua.
L’impronta lasciata dal suo passato cosmopolita è ben visibile nella Xi’an di oggi.
Vicino alla Torre della campana, che un tempo scandiva le fasi della giornata, si stende il più importante mercato notturno della città. Qui si può gustare una varietà impressionante di pietanze, da quelle tradizionali della cucina locale, come il Pào Mo – carne di montone in zuppa – a quelle della cucina halal, preparate secondo le regole alimentari islamiche della minoranza Hui.
L’ampiezza del buddismo nell’antica capitale cinese testimoniata dalla grande pagoda dell’Oca Selvatica, fatta costruire nel Settimo secolo. E’ ancora adesso un luogo venerato, oltre che calamita del turismo. La pagoda ha la caratteristica di essere inclinata di due gradi, troppo poco comunque per farne una seconda Torre di Pisa.
Xi’an vanta anche una delle più belle moschee della Cina: la Grande moschea. Fu costruita nell’Ottavo secolo. Il minareto fatto a pagoda e le porte della luna sono splendidi esempi di sincretismo tra arte cinese e arte islamica.
A dare il nome di Via della seta al reticolo di collegamenti tra Oriente e Occidente non furono i mercanti dell’antichità. L’espressione fu coniata dal
geografo tedesco Ferdinand von Richthofen nel 1887, che tra i tanti beni scambiati, non a caso scelse proprio la seta. Già nell’antica Roma, il tessuto aveva un tale prestigio che la sua terra d’origine era chiamata Serica, “Terra della seta”. Nell’Impero i consumi crebbero al punto da creare un preoccupante disavanzo nella bilancia commerciale. Nel tentativo di limitarne l’uso, Il Senato di Roma arrivò a vietare agli uomini di indossarla, col pretesto che era segno di effeminatezza. Il provvedimento fu ignorato. Una lezione da tenere a mente, oggi, in tempi di guerra commerciale.
La nuova Via della Seta: Chongqing
A dispetto della sua età, la via della seta mostra ancora oggi la sua vitalità. Da qualche anno, treni merci collegano città cinesi ed europee. Questo è lo scalo di Chongqing.
Yang Yuping, Direttore Chongqing Western Logistics Park
Il numero di treni merci tra Cina ed Europa cresce esponenzialmente. Siamo passati da pochi dell’inizio alle centinaia dello scorso anno. E il trend continua.
Il collegamento ferroviario è uno dei volti della nuova Via della seta, in cinese “yi tai yi lu”, l’ambizioso disegno geopolitico promosso dal Presidente cinese Xi Jinping. Prevede investimenti colossali – oltre tre trilioni di euro – lungo diverse direttrici per potenziare le infrastrutture e favorire gli scambi tra Oriente e Occidente.
Chongqing è la città più popolosa del mondo, trentatre milioni di abitanti. Si trova alla confluenza tra i fiumi Azzurro e Jialin. Questa megalopoli ancora in tumultuoso sviluppo è un palcoscenico ideale per osservare la Cina che cambia.
Ci sono ancora grandi sacche di povertà. I bang bang – facchini il cui unico strumento di lavoro è una canna di bambù – arrancano su e giù per ripide strade trasportando pesanti carichi.
Davanti ai mega centri commerciali, spuntati come funghi negli ultimi anni, ci sono fotografi amatoriali che immortalano le ragazze vestite alla moda per promuovere sui loro blog una nuova immagine, moderna e opulenta, della metropoli.
Dentro i mall, un’oasi di palloncini tinta pastello è un irresistibile set per fare selfie, autentico sport nazionale.
I millenials affollano le firme del lusso. Usano lo smartphone per regolare con un click i pagamenti. Sono i giovani in Cina ad avere la maggior capacità di spesa. Lavorano nell’industria hi-tech, quella che offre i migliori stipendi e le prospettive di carriera più allettanti. E anche il settore che sotto la regia del governo si sta sviluppando maggiormente.
Le gru che si stagliano all’orizzonte stanno dando forma al nuovo centro tecnologico di Chongqing, lo Xiantao Data Valley. Basta uno sguardo agli edifici per misurarne la distanza con il passato industriale della Cina.
Xu Yi, vice direttore generale Xiantao Data Valley
Lo Xiantao Data Valley intende favorire lo sviluppo di industrie nei settori tecnologici più avanzati: big data, intelligenza artificiale, internet delle cose. Secondo i nostri piani, tra due anni, il Parco ospiterà da 2.000 a 2.500 aziende hi-tech e creerà trenta mila nuovi posti di lavoro”.
Una parte del progetto, realizzata da uno studio di architettura italiano.
Massimo Bagnasco, Studio CMR
Uno dei requisiti del cliente, oltre all’avanzamento tecnologico degli edifici, era quello di creare un’area che fosse ecologicamente avanzata, che desse alle persone l’opportunità di vivere in un campus, sul modello delle realtà americane dell’hi-tech, dove uomo, tecnologia e natura riescono a condividere i momenti della vita insieme, in un tutt’uno.
La Cina è intenzionata a cambiare volto: da fabbrica del mondo a fucina di innovazione. Con il piano “Made in China 2025”, il governo ha individuato dieci settori strategici sui quali indirizzare gli investimenti. E i primi frutti già si vedono. Il Guizhou, fino pochi anni fa una delle regioni più arretrate, oggi vanta i più alti tassi di sviluppo. Sotto l’impulso del governo, è diventato il principale polo cinese dell’industria dei big data, l’oro nero del XXI secolo.
Zhang Yu, vicedirettore Distretto hi-tech di Guiyang
Nel Guizhou abbiamo le condizioni climatiche e geologiche favorevoli per sviluppare un’industria dei big data: una temperatura media di ventitré gradi e assenza di rischio terremoti. Il governo centrale ha sostenuto il progetto. Sono arrivati i fondi e i talenti. Lo sviluppo è stato rapidissimo.
In Cina è in atto una nuova rivoluzione, una rivoluzione digitale.
Questo avveniristico veicolo dotato di braccio meccanico che prepara un decente caffè in due minuti è in grado di spostarsi senza pilota. Da questa estate è in funzione in alcuni centri commerciali del Guizhou. E’ un tassello di quella che sarà la città del futuro, come la immagina il fondatore di questa startup.
Yi Chuan, amministratore delegato di Pixmoving, Guiyang
I veicoli senza pilota cambieranno non solo il sistema di trasporto, ma la stessa struttura delle città, il nostro stile di vita. Non basta installare sensori su un’auto senza pilota per renderla sicura. Tutto il sistema in cui opera deve diventare intelligente e connesso. Questa è la nostra direzione di marcia.
La rivoluzione digitale della Cina è una sfida per l’Occidente – il vantaggio tecnologico si accorcia – ma anche un’opportunità – i campi di collaborazione si ampliano purché ci si presenti nel modo giusto.
Filippo Nicosia, Console generale a Chongqing
Noi, l’ambasciata, il consolato opera quotidianamente per promuovere anche l’immagine di un’Italia tecnologica. In fondo è semplice. Basta spiegare agli amici cinesi che l’Italia è un Paese del G7 e non sarebbe un Paese del G7 vendendo solo scarpe e vestiti ma anche perché ha una industria di primissimo ordine a livello europeo.
Anna Facchinetti, direttrice esecutiva Galileo Galilei Italian Institute
Sono arrivata oramai a Chongqing più di tre anni fa. Vivendo qua si vede quanto veloce sia lo sviluppo di questa città, quanto siano i cambiamenti dal punto di vista architettonico e anche dal un certo punto di vista della qualità della vita, Si vede quella crescita economica rapidissima, una delle città che crescono più rapidamente in Cina. Il PIL viene riscontrato nella vita di tutti i giorni.
Nell’Università di Chongqing c’è un pezzo d’Italia che pochi conoscono, ma di cui essere orgogliosi: il Galileo Galilei Italian Institute. E’ frutto di una collaborazione tra la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’ateneo cinese. Le due istituzioni accademiche hanno deciso di dar vita ad un laboratorio congiunto sulla realtà virtuale. E’ un riconoscimento dell’eccellenza italiana della ricerca italiana in cambi tecnologicamente all’avanguardia.
La realtà aumentata ha numerose applicazioni. Consentirà ad esempio agli amministratori di una caotica megalopoli come Chongqing di vedere gli effetti delle loro decisioni prima di attuarle.
E’ la tecnologia, la seta del XXI secolo, il bene più prezioso che fluisce lungo il nuovo reticolo di connessioni tra Cina e Europa, tracciate idealmente nel solco di quelle antiche.
L’antica Via della Seta: Dunhuang
Un tempo, le carovane che partivano dalla capitale dell’Impero, Chang’an, si dirigevano verso il corridoio di Hexi, oggi nella regione del Gansu, passaggio obbligato tra Oriente e Occidente. A protezione di questa strategica via di comunicazione, gli imperatori Ming vollero una imponente struttura difensiva.
Costruito nel 1372, il forte di Jiayuguan fu chiamato ‘l‘inespugnabile gola sotto il cielo’. Era l’ultimo avamposto cinese a Occidente, oltre il quale c’erano solo i demoni del deserto e gli eserciti barbari dell’Asia Centrale”.
Narra la leggenda che prima di iniziare i lavori di costruzione del forte fu chiesto all’architetto il numero di mattoni necessari. La risposta fu sorprendentemente precisa: 99.999. Per prudenza, ne fu fabbricato uno in più. Non servì. Fu piazzato su questo cornicione, a testimonianza della perfezione del progetto.
Scrutando l’orizzonte, non si può fare a meno di pensare ai rischi che i mercanti affrontavano nell’intraprendere il viaggio. Per raggiungere Roma e tornare indietro ci volevano 4 anni. Le piste nel deserto, roventi d’estate e gelide d’inverno, erano disseminate degli scheletri di chi non ce l’aveva fatta. L’impresa sarebbe stata impossibile senza i cammelli della Battriana, capaci resistere settimane senza acqua e di avvertire in anticipo l’arrivo delle tempeste di sabbia.
Le carovane dovevano percorrere 400 chilometri prima di giungere nell’unica chiazza verde in questa sterminata distesa sabbiosa, l’oasi di Dunhuang. Siamo in uno dei crocevia più significativi del Pianeta, qui per secoli sono transitati popoli delle più disparate etnie, culture e religioni. Un vero melting pot, un crogiolo dei tempi antichi. In epoca Han, il limite occidentale dell’Impero era il Passo della Giada. Una struttura a pianta quadrata serviva da ufficio delle dogane. Ancora sono visibili i segmenti più antichi della Grande Muraglia: risalgono a duemila e duecento anni fa.
A Dunhuang le dune del deserto oggi sono diventate attrazione turistica. Un chiassoso esercito di visitatori le solca in groppa ai cammelli. I più intrepidi salgono a piedi, impresa alla portata di tutti, grazie a questa scala.
Nonostante il turismo di massa, l’oasi ha conservato il suo fascino. Al centro, c’è uno specchio d’acqua a forma di mezzaluna. II cinesi chiamano queste dune Mingsha Shan, “la montagna che fa eco al suono della sabbia”. La sabbia produce davvero un suono, quando è accarezzata dal vento. Secondo alcuni canta, mentre per altri è come se producesse un’eco, di qui il nome.
Ed ecco uno dei prodotti del miracolo cinese. Due anziani si fotografano come fossero teenager. Lui ha 85 anni, lei qualcuno in meno.
You Xueqi, Turista
Nel mio Paese c’è un detto: il sole non dura mai più di tre giorni e la gente non ha mai più di tre monete. Ora è completamente diverso: abbiamo il treno ad alta velocità, autostrade in tutte le direzioni, chi viveva in catapecchie si è spostato in case decenti. E noi che siamo in pensione, ci godiamo la vita grazie al sostegno dei nostri figli. Siamo felici di essere qui, di vedere per la prima volta il deserto, i cammelli.
A venticinque chilometri da Dunhuang, si trovano le grotte di Mogao: mille templi buddhisti, cinquecento di essi affrescati, scavati nella roccia nell’arco di mille anni.
Su Bomin, Direttore Istituto Conservazione Accademia di Dunhuang
Dunhuang era la porta principale tra la Cina e l’Occidente. Le merci che la Cina esportava dovevano passare di qui. E anche gli ambasciatori inviati dall’Occidente dovevano passare di qui. Era un affollato crocevia. E gli scambi commerciali favorirono quelli culturali. Il buddhismo arrivò in Cina dall’India in questo modo.
Zhang Yuanlin, direttore Centro di Ricerca Via della Seta, Accademia di Dunhuang
Nel 366 un monaco di nome Yue Zong arrivò a Mogao. Appena sbucò dalle dune, vide una luce irradiarsi dalla cima della collina; dai raggi fuoriuscirono mille Buddha. Si convinse che questo era il posto giusto per raggiungere l’illuminazione e costruì il primo tempio. Poco dopo arrivò un secondo monaco e costruì il secondo tempio. Così è cominciata la storia delle grotte di Mogao. Per mille anni, i monaci hanno costruito grotte, senza sosta. Un periodo durante il quale in Cina si cui sono succeduti sedici regni.
La superficie complessiva degli affreschi rinvenuti a Mogao è di 45mila metri quadri. Il clima arido del deserto ha permesso a questa straordinaria testimonianza di arte buddhista di arrivare fino a noi. Ma i danni causati dal tempo e dall’uomo sono vasti.
Su Bomin, Direttore Istituto Conservazione Accademia di Dunhuang
Questi affreschi hanno diversi problemi. Quello più serio è provocato dagli sbalzi di umidità. I colori si impastano, come vede qui.
Agli inizi del XX secolo, a Mogao, furono scoperti in una piccola grotta 50 mila manoscritti: sutra buddhisti, scritti confuciani e taoisti, saggi e poesie. Il pezzo più importante è il Sutra del Diamante. Risale al 868. E’ il più antico testo a stampa oggi esistente. I cinesi avevano inventato la stampa sei secoli prima che in Europa venisse stampata la Bibbia di Gutenberg.
La nuova Via della Seta: Shenzhen
Oggi la Cina ambisce a riconquistare il primato che ha avuto in passato. Un obiettivo che a Shenzhen sembra a portata di mano. Qui hanno il quartier generale i giganti dell’hi tech cinese.
Questo è il campus di Huawei: 20 mila ingegneri a progettare le reti del futuro, dette 5G. Metteranno in comunicazione non solo gli uomini ma anche le macchine: l’internet of thinks, la rivoluzione prossima ventura. La Huawei ha investito più dei concorrenti. E l’America di Trump, ora sta cercando di fermare l’avanza cinese. Sostiene che le reti made in China comprometterebbero la sicurezza. Ha convinto alcuni degli alleati, in Asia e anche in Europa.
Il colosso cinese recentemente ha anche accusato due seri colpi giudiziari: l’arresto a Varsavia del direttore polacco con l’accusa di spionaggio e l’arresto a Vancouver della numero due e figlia del fondatore del gruppo, Meng Wanzhou, con l’accusa di aver violato le sanzioni statunitensi all’Iran.
Shenzhen è anche sede del più grande mercato dell’elettronica del mondo, Huaqiangbei. Numeri da capogiro: 60mila banchi, 300mila pezzi venduti al giorno. Il sogno di ogni nerd.
Tony Lopez, ingegnere
Ho lavorato nella Silicon Valley. Per il software sono molto bravi. Ma questa è la Silicon Valley dell’hardware. Da qui proviene il 70 % di tutto il materiale elettronico usato nel mondo: cavi, plastica, componenti. Non esiste niente del genere altrove. La prima volta che ho varcato la soglia, non credevo ai miei occhi.
Huaqiangbei, in realtà, è molto di più di un mercato. E’ la vetrina di uno dei sistemi produttivi più avanzati e flessibili del mondo.
Yang Jie, Segmaker, Shenzhen
Dietro ogni bancone c’è una fabbrica nei paraggi. Huaqiangbei è il regno dell’hardware, il posto migliore per sviluppare un’idea innovativa. Altrove, per realizzare un prototipo ci vogliono due o tre mesi, qui bastano quattro o cinque giorni.
All’ultimo piano dell’edificio principale si trova un incubatore di start up. E’ parte di un più vasto sforzo della autorità di fare di Shenzhen la Silicon Valley della Cina.
Yang Jie, Segmaker, Shenzhen
Offriamo spazi di lavoro e appartamenti a costi sostenibili. Inoltre, mettiamo a disposizione esperti provenienti dai più grandi gruppi hi-tech cinesi. Infine, facilitiamo l’accesso ai capitali, un fattore cruciale.
L’incubatore ha solo tre anni di vita ma già vanta diverse storie di successo.
Per gli amanti del selfie, ecco un supporto per smartphone che riconosce e segue i volti.
Questo invece è uno schermo realizzato con un nuovo materiale. La sua caratteristica principale è di essere multi touching.
In passato Shenzhen era il regno dei falsi, imitazioni dei frutti dell’ingegno occidentale. Oggi è una fucina di prodotti creativi. Come questi robot intelligenti, che promettono di entrare in ogni nostra casa.
Xiong YouJun, Amministratore delegato Ubtech
Questi robot hanno funzioni didattiche, di intrattenimento e di servizio. Con il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale e dei big data, i robot entreranno sempre di più nelle nostre case e nelle nostre vite. Prevediamo un rapido sviluppo del mercato.
L’azienda, fondata nel 2012, ha conosciuto un fenomenale sviluppo. Oggi è valutata cinque miliardi di dollari. Punti di forza: l’accattivante design, la flessibilità delle articolazioni e la capacità di interazione. In una parola, innovazione: il nuovo volto del made in China.
Quarant’anni fa, Deng Xiaoping scelse proprio Shenzhen per sperimentare le sue coraggiose riforme. Istituì qui zone economiche speciale, dove. per la prima volta, capitalisti stranieri potevano investire nella Cina comunista. Da allora Shenzhen è il laboratorio della Cina, la città che precede il resto del Paese, l’osservatorio per capire dove sta andando il gigante asiatico.
Davide Castoro, Architetto
Qui siamo a una zona centrale di Shenzhen, forse è una più antica di Shenzhen, perché sono le fabbriche l’antichità di Shenzhen. Tutto questo oggi è stato trasformato, sono delle fabbriche riconvertite, ad attività culturale. E’ uno dei poli della dinamicità culturale della città.
Gli esempi di riconversione industriale si moltiplicano. Siamo a Canton, un centinaio di chilometri da Shenzhen. Questo museo del pianoforte è stato allestito in quella che fu la fabbrica di pianoforti più grande del mondo. La struttura, destinata a essere riconvertita in polo dell’industria creativa. Il progetto affidato al Politecnico di Torino.
Michele Bonino, Dipartimento di Architettura, Politecnico di Torino
Torino è stato un luogo che sul recupero industriale ha dato un segno, in Europa adesso anche in Cina. Quello che si e capito è che cultura e creatività possono essere motori in uno sviluppo più economico.
Gli architetti italiani che lavorano in Cina sono testimoni privilegiati del cambiamento di modello di sviluppo in atto nel Paese.
Freddi è Shenzhen da quasi dieci anni. All’inizio la sua specializzazione, architettura paesaggistica, era vista con fastidio. Ora è apprezzata.
Freddy Curiél, architetto paesaggista
Quando sono arrivato qui, con la cultura progettuale incentrata a promuovere ed integrare il verde, la sostenibilità negli edifici e negli spazi pubblici, ho sempre cercato di inserire queste cose nei miei progetti . All’inizio, il cliente cinese vedeva queste come una spesa in più senza comprendere i vantaggi su un lungo termine. Adesso, il governo le vede come un valore aggiunto, ci sono incentivi a farlo, di conseguenza gli investitori sono molto più propensi anche di accettare queste politiche, queste strategie, a fronte del fatto che viene richiesto da alto.
A Shekou si può misurare la distanza tra il passato e il presente di Shenzhen. Questa è stata la prima zona industriale della città. Oggi, dove sorgevano ciminiere, si staglia questo elegante centro culturale. E’ frutto della collaborazione tra il Victoria and Albert Museum di Londra e la Merchant Bank. L’ambizione è quella di stimolare e diffondere nella società la cultura del design, quale nuovo motore dello sviluppo.
Ole Bouman, direttore del Sea World Cultural Artes Center, Shenzhen
Questo nuovo centro culturale è figlio della trasformazione di questo quartiere di Shenzhen da area industriale ad area post industriale. E’ un luogo di incontro. Vuole stimolare la creatività e l’innovazione. Ci sono esposizioni di design e spazi di lavoro, ristoranti e boutique.
L’edificio, disegnato dall’architetto giapponese Fumihiko Maki, ha diversi o spazi espositivi. La galleria principale mostra l’evoluzione nel tempo del design di oggetti aventi la stessa funzione. I tre affacci creano idealmente una connessione tra i tre volti di Shenzhen, il mare, la montagna e la skyline.
Ole Bouman, direttore del Sea World Cultural Artes Center, Shenzhen
La Cina è famosa nel mondo per la sua produzione di massa. Ma quando l’economia diventa matura bisogna cambiare passo. Non si può solo produrre, bisogna anche inventare, innovare. A questo punto il design diventa cruciale. I designer hanno la sensibilità, le antenne per percepire cosa c’è di nuovo nell’aria, quale sarà la domanda nel futuro.
Shenzhen corre più velocemente del resto della Cina. E in alcuni campi supera anche dell’Occidente. L’auto elettrica è uno di questi. I 16mila autobus della megalopoli scivolano silenziosi. I motori diesel sono ormai un ricordo. Il processo di elettrificazione, iniziato dieci anni fa, portato a termine lo scorso giugno.
Zhang Jinjun, conducente di autobus
Come conducente, posso garantire che la guida di un autobus elettrico rispetto a quelli a diesel è molto più piacevole: ci sono meno vibrazioni, il rumore è minimo.
Dal 1 gennaio di quest’anno, anche i taxi – 19mila – sono tutti elettrici.
Li Songwei, tassista
I taxi elettrici di ultima generazione hanno un’autonomia di 350 chilometri. Normalmente non ho bisogno di ricaricare la batteria durante il mio turno di lavoro. Lo faccio quando stacco, alle 16:30. Un’ora e mezza di ricarica è sufficiente al collega del turno successivo.
Dietro l’elettrificazione del trasporto pubblico c’è la BYD, un colosso di 220 mila dipendenti, che ha fatto della ricerca di soluzioni verdi per la mobilità la sua bandiera vincente.
Wang Chuangfu, Presidente e fondatore di BYD
Il modello che si sta imponendo in tutto il mondo è di elettrificare prima il trasporto pubblico, poi quello privato. Innanzitutto, autobus e taxi hanno un impatto enorme sull’inquinamento. In secondo luogo, è più facile costruire una rete di punti di ricarica per i mezzi pubblici che per quelli privati. Autobus e taxi seguono percorsi fissi, a fine turno rientrano nei depositi, dove possono essere messi in carica di notte. Per questo, l’elettrificazione dei mezzi pubblici è il primo passo, quello che poi conduce necessariamente alla elettrificazione dei mezzi privati.
Shenzhen non è all’avanguardia solo nell’elettrificazione del trasporto. E’ anche un esempio tra i più avanzati al mondo di smart city. In questa sala di comando e controllo si monitorano gli spostamenti dei venti milioni di abitanti della megalopoli. Il sistema è in grado di prevedere una situazione di crisi con quindici minuti di anticipo. Un margine sufficiente per intervenire.
Ma Qian, Centro di Comando operativo dei Trasporti di Shenzhen
La smart city è un trend inevitabile. I cittadini traggono grande beneficio, ad esempio, dal miglioramento delle condizioni del traffico. La municipalità di Shenzhen sta lavorando alla costruzione di una smart city e come Dipartimento dei trasporti diamo il nostro contributo. I dati che raccogliamo sono a disposizione anche di altri Dipartimenti. E’ un lavoro di squadra.
La vecchia Via della Seta: Kashgar
Come la nuova via della seta, anche l’antica ha visto nascere dal nulla fiorenti città. Queste sono le rovine di Gaochang.
(Si incontrano lungo il ramo settentrionale della Via della seta, uno dei due percorsi che aggiravano a nord o a sud il temibile deserto di Taklamakan, letteralmente “mare della morte”, una distesa di sabbia lunga duemila chilometri e larga 400).
Gaochang E stata cinese sotto le dinastie Han e Tang. Poi capitale del regno degli Uiguri. Cadde in disuso nel Quattordicesimo secolo. All’apogeo, aveva 30mila abitanti. Una città cosmopolita e tollerante. Si praticavano le religioni più disparate: Buddismo Nestorianesimo, Zoroastrismo, Manicheismo.
I carovanieri qui trovavano acqua a volontà. Un ingegnoso sistema idrico collegava l’oasi alle orgenti del monti che la sovrastano, Tian Shan, la montagna celeste.
A quaranta chilometri si trova Turpan. Siamo nello Xinjiang, la regione più occidentale della Cina. I ristoranti propongono spettacoli folcloristici. Questa è la terra della minoranza Uiguri, di religione musulmana e lingua e cultura di origine turca.
Tra le specialità locali, il naan, pane di origine indiano molto saporito e gli spiedini di agnelli, cotti alla brace. Gli odori, i colori, i sapori sono quelli per noi esotici dell’Asia centrale.
Uno dei simboli di Turpan è la moschea di Emin, con il suo monumentale minareto, il più alto in Cina. Fu costruito nel 1777, durante la dinastia Qing, per onorare un capo uiguro che collaborò con l’imperatore Qianlong per unificare lo Xinjiang e annetterlo alla Cina.
I rapporti tra uiguri e cinesi sono sempre stati complessi. Ma recentemente si sono fatti molto tesi. Estremisti uiguri hanno compiuto sanguinosi attentati terroristici. E il governo ha reagito col pugno di ferro.
Arriviamo a Turpan in pieno Ramadan. Non poche moschee appaiono chiuse.
La gente vive ancora in condizioni di povertà. Turpan si trova 150 metri sotto il livello del mare. Le temperature d’estate raggiungono i 45 gradi. Per questo è soprannominata, la fornace del mondo. Negli ultimi anni però il reddito pro capito è in aumento anche qui, grazie agli investimenti governativi nelle energie rinnovabili, che sfruttano l’unica risorsa che abbonda: il vento e il sole.
Il liuto a manico lungo è uno degli strumenti musicali della tradizione uigura. Siamo a Urumqi, la capitale della regione autonoma dello Xinjiang.
Urumqi si trova lungo la via della seta, ma il suo sviluppo è recente. Il Gran Bazar, costruito nel 2003 in stile islamico, è una pallida imitazione di quelli autentici. Di eccezionale rilevanza i reperti custodititi nel museo provinciale, Il pezzo forte è “La Bella di Loulan”, una mummia dai tratti somatici caucasici, che risale a 3.800 anni, è diventa suo malgrado una eroina del movimento uiguro visto come il fumo negli occhi da Pechino.
Il suono della tromba e danze popolari ogni mattino segnano l’apertura del bazar di Kashgar. Siamo all’angolo nord occidentale della Cina, da qui Pechino dista 4mila chilometri, tanto quanto Roma. Questo è stato per due millenni l’epicentro dei commerci lungo la Via della seta.
Un proverbio cinese dice che una vecchia teiera non va privata delle sue incrostazioni, altrimenti smette di fare buon tè. La saggezza popolare purtroppo non è stata applicata a Kashgar. Il vecchio bazar è stato interamente rinnovato, in nome della modernità. Le stratificazioni che il tempo aveva accumulato sono state cancellate. A dispetto dei cambiamenti, però, lo spirito di Kashgar è ancora vivo. Gli uomini indossano il copricapo tradizionale, versione locale del il fez turco, le donne sono avvolte in abiti dai colori accesi. Gli artigiani martellano e cesellano. I commercianti sono intenti a vendere tappeti, capi in seta, calici smaltati. L’odore del naan, cotto nella maniera tradizionale, riempie le narici. Marco Polo arrivò qui stanco e malato. Ma restò colpito dalla dinamicità del luogo. I mercanti di questa città – scrisse – viaggiano in ogni parte del mondo.
Oggi, la Ostangboyi Tea House ci riporta indietro nel tempo. Nel locale si esibiscono musicisti uiguri di eccezionale bravura. Qui uomini siedono ai lati e sorseggiano in silenzio tè verde aromatizzato con noce moscata e petali di rosa. E come in un sogno, l’atmosfera della Via della seta rivive davanti ai nostri occhi.
Kashgar è stata una grande e fiorente città delle carovane. I mercati vi giungevano esausti ma sollevati per essersi lasciati alle spalle il deserto di Taklamakan. Qui si rifocillavano, acquistavano viveri e scambiavano i cammelli con i muli, prima di riprendere il cammino in direzione degli impervi ai passi che danno accesso all’Asia Centrale. La cucina locale, la migliore della regione, è frutto della mescolanza tra le tradizioni culinarie cinesi e uiguri. Le sirene spiegate dei posti di blocco però sono il segno tangibile delle tensioni tra le due comunità.
I cercatori rovistano tra le pietre che il fiume ha deposito nella secca a caccia di giada. Da tremila questa è la principale attività di Khotan.
La città si trova tra due fiumi, il Fiume della giada nera e il fiume della giada bianca. Le loro acque portano a valle i detriti delle montagne di Kunlun, ricche del prezioso minerale.
Negli annali dei Tang si decanta la facilità con cui la giada poteva essere trovata. C’è un fiume della giada in quelle terre – è scritto – la gente può trovare squisita giada ogni volta che la luna splende più brillante.
Ogni domenica, i commercianti allineano su banchi di metallo le pietre grezze di giada. Sono immerse nell’acqua, che ne esalta la qualità. Solo una piccola parte di queste pietre proviene dal letto del fiume. Oggi draghe meccaniche scavano la terra su scala industriale. Compratori vengono qui da ogni parte della Cina. Questo è il mercato della giada più grande del mondo. Il negoziato segue un rito millenario. I sassi vengono scrutati da occhi esperti. La trattativa sul prezzo è serrata. Si conclude con una stretta di meno. Questo sasso è stato venduto a 200 mila yuan, circa 30mila euro. Il pagamento avviene in contanti. Qui nulla è cambiato rispetto al passato. Niente carte di credito, né tantomeno trasferimenti tramite le app del telefonino che nel resto della Cina hanno mandato in pensione il portafogli.
I negozi espongono i meravigliosi pezzi finiti. La giada in Cina è ammirata e venerata come in nessun’altra civiltà. E’ il simbolo dell’immortalità.
Khotan si trova lungo il ramo meridionale della via della seta, 500 chilometri da Kashgar, dove i due rami si ricongiungono. Ha conservato una autenticità culturale difficile da trovare in altre città dello Xinjiang. Il mercato di notte è un’esperienza culinaria indimenticabile. Qui si possono gustare noodles di lunghezza chilometrica, spiedini di kebab cotti alla brace insaporiti con zir, il cumino, gigantesche uova farcite. Unico inconveniente, il mercato è coperto e il fumo dei barbecue riempie non solo le narici ma impregna anche i vestiti.
La nuova Via della Seta: Shanghai
Il luogo che meglio riassume la storia recente della Cina è il Bund di Shanghai. Da un lato, gli splendidi edifici art decò costruiti all’inizio del secolo scorso dalle potenze coloniali europee, dall’altro gli avveniristici grattacieli che costituiscono la nuova skyline sempre cangiante della megalopoli: umiliazioni del passato e ambizioni del presente si specchiano sulle acque del fiume Huangpo. Shanghai è una città globale, un centro economico, finanziario, commerciale e culturale di livello mondiale. E’ a pieno titolo lo snodo più importante delle nuove Vie della seta.
What’s on your mind, cosa ti passa per la testa: la lavagna invita i dipendenti di Yi Tu a esprimersi liberamente. Si entra nella sede della startup tramite riconoscimento facciale. Le telecamere controllano ogni recesso degli uffici. Un murales mostra il radioso futuro che ci attende. Questa società è leader mondiale in quel promettente campo dell’intelligenza artificiale che consiste nel simulare e superare le capacità dell’occhio e dell’orecchio umani.
Lu Hao, direttore Innovazione, Yitu, Shanghai
L’intelligenza artificiale ci consentirà di fare cose finora impensabili. Possiamo mettere telecamere in ogni negozio per capire cosa fanno davvero i clienti. E questi dati serviranno a digitalizzare il settore del commerciale. In campo medico, ad esempio per la radiografia, l’Intelligenza artificiale può assistere i radiologi e aumentare la loro efficienza.
Yitu è assurta per la prima volta agli onori delle cronache nel 2015, quando grazie alla sua tecnologia la polizia di Suzhou catturò un ladro in dieci minuti. Da allora il suo sistema di riconoscimento facciale è stato adottato da decine di municipalità. Promette di riconoscere un volto in un secondo cercando in un database di un miliardo di fotografie. E non è millantato credito. Si è aggiudicata il primo posto per accuratezza nella più qualificata competizione internazionale del settore. Altre startup cinesi si sono ben piazzate. In questo settore, la Cina sta già dando filo da torcere alla Silicon Valley.
Un fascio di luce riflesso da specchi. Non è un nuovo gioco per bambini; in questo laboratorio si sperimenta una tecnologia d’avanguardia, quella quantistica. Shanghai aspira a diventare un centro di scienza e innovazione di livello mondiale. Investe nella ricerca il 4,1 % del PIL, più della media nazionale. Una quota crescente finanzia ricerche che esplorano territori ancora ignoti, come questo. Siamo nel laboratorio di calcolo quantistico allestito dall’Accademia delle Scienze col contributo finanziario di Alibaba, il colosso dell’e-commerce. Qui si compiono esperimenti di calcolo e crittografia quantistica. E’ un campo di ricerca di importanza capitale. La tecnologia quantistica promette di assicurare lo scambio dei dati con la certezza assoluta che nessun hacker potrà intercettarli. E’ ancora in una fase embrionale, ma tra i suoi futuri utilizzatori si possono già annoverare i governi, gli apparati militari, le istituzioni finanziarie. Anche in questo campo, la Cina compete con gli Stati Uniti. Con un vantaggio: è l’unico paese ad aver messo in orbita un satellite dedicato alle trasmissioni quantistiche.
Un altro segno delle ambizioni di Shanghai è questo nuovo ateneo, la ShanghaiTech University.
Yin Jie, vice presidente ShanghaiTech University
Questa università è aperta al contributo di ricercatori e docenti provenienti da tutto il mondo. Abbiamo anche invitato a lavorare nei nostri laboratori scienziati di fama internazionale. Vogliamo diventare una università d’eccellenza.
Disponibilità di fondi, apertura alla collaborazione internazionale. Un’opportunità che Francesco Zonta e Camilla Luni non si sono fatti sfuggire. Da tre anni conducono in questo laboratorio di immunologia una ricerca d’avanguardia sugli anticorpi.
Francesco Zonta, ShanghaiTech University
La Cina è un paese molto entusiasta in questa fase. E sta investendo moltissimo in ricerca. Per noi scienziati, è uno dei posti migliore dove stare a questo momento storico.
Camilla Luni, ShanghaiTech University
Ci sono enormi possibilità dal punto di vista tecnologico, come strumentazioni, come disponibilità di fondi di ricerca, ci sono molti spazi per altri ricercatori italiani per fornire propria esperienza nell’uso di queste tecnologie.
Roberto Pagani, Consigliere scientifico, Consolato di Shanghai
Noi abbiamo 763 accordi universitari tra universitarie italiane e le università cinesi. Circa il 50 % di questi accordi sono con Shanghai e con le università di Shanghai.
Questo è un laboratorio congiunto tra Politecnico di Torino e dell’Università Jiaotong di Shanghai. I ricercatori dei due paesi, a dispetto della distanza e dei fusi orari, hanno messo in comune le risorse scientifiche per simulazioni in un campo, le energie rinnovabili, da cui dipende il futuro del nostro pianeta.
Ettore Bompard, Politecnico di Torino
L’idea è quella di produrre energia da fonti rinnovabili in posti definiti del globo, ad esempio l’eolico nel Polo Nord e il fotovoltaico in Africa, e collegare le reti elettriche di Europa, Cina e Stati Uniti in una grande rete elettrica mondiale che permetta di sfruttare nel modo migliore le energie prodotte da fonti rinnovabili.
Roberto Pagani, Consigliere scientifico, Consolato di Shanghai
Noi siamo affascinati dall’idea che la nuova Via della seta sia una Via della seta della conoscenza, perché così è stato il passato. Questa è di nuovo l’occasione per una grande via della conoscenza, ovviamente i poli sono i poli europei – non diciamo ovviamente solo l’Italia, e la Cina, e i grandi poli universitari che sono una grande maglia di conoscenza.
L’ascesa della Cina, che la notte di Shanghai mostra prepotentemente, può far paura a chi teme di perdere primati. Ma gli ultimi duemila anni di storia insegnano che il flusso di merci e idee tra il colosso asiatico e l’ Europa è inarrestabile e a trarne vantaggio sono entrambi i popoli.
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